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Mangiare un pesce d’acqua dolce è come bere acqua contaminata

di Santino Ferrone

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Dal 1° gennaio 2023 si applicheranno le nuove norme Ue che limitano la presenza di PFAS (sostanze tossiche prodotte dall’industria) nelle acque reflue e negli alimenti (in particolare nelle uova, nel pesce e nella carne). Se smaltiti illegalmente o non correttamente nell’ambiente, questi acidi altamente nocivi, penetrano facilmente nelle falde acquifere e, attraverso l’acqua, raggiungono i campi e prodotti agricoli, e quindi gli alimenti, causando gravi danni alla salute umana. I PFAS a cui fanno riferimento le nuove regole Ue sono quattro: l’acido perfluorottano solfonico (PFOS), l’acido perfluoroottanoico (PFOA), l’acido perfluorononanoico (PFNA) e l’acido perfluoroesano solfonico (PFHxS). Queste sostanze (note negli USA anche come “forever chemicals”, vista la loro persistenza nell’ambiente) sono considerate tra i fattori di rischio per un’ampia serie di patologie.

Studi hanno riscontrato che i PFAS vengono assorbiti in modo particolarmente veloce dall’organismo, e possono accumularsi e depositarsi nel plasma, nel fegato e nei reni del corpo umano, causando importanti danni alla salute umana, tra cui: disfunzioni del sistema immunitario e malattie alla tiroide; aumento del rischio di cancro al rene o ai testicoli; sviluppo di malattie metaboliche, come obesità e diabete di tipo 2; infertilità e patologie gestazionali; aumento della pressione sanguigna nelle donne in gravidanza. Ora un nuovo studio, condotto dagli scienziati dell’Environmental Working Group, ha rilevato che il pesce d’aqua dolce è talmente contaminato da PFAS che consumarne anche una singola porzione all’anno equivale a bere per un mese acqua con concentrazioni elevate di queste sostanze.

Cosa sono i PFAS

I PFAS sono Sostanze Perfluoro Alchiliche utilizzate nell’industria sin dagli anni cinquanta, per rendere impermeabili tessuti e carta, o per rendere anti-aderenti pentole e rivestimenti per contenitori di alimenti. Ma si trovano anche in schiume antincendio, detergenti per la casa, prodotti per l’igiene personale, cosmetici, ecc. La composizione chimica li rende, da un lato particolarmente resistenti sia al calore che ad altri agenti chimici, permettendo i molteplici utilizzi in campo industriale, e dall’altro estremamente persistenti nell’ambiente e quindi rischiosi per la salute dell’uomo.

Sono infatti definite “sostanze chimiche eterne”, poiché non si decompongono mai nell’ambiente. Se non vengono smaltite correttamente, sia dal produttore che dal consumatore, finiscono nelle falde acquifere, raggiungendo i campi e i prodotti agricoli, e l’acqua potabile erogata dai rubinetti (principale fonte di contaminazione per l’uomo).

Lo studio

I ricercatori dell’EWG hanno analizzato i dati di oltre 500 campioni di filetti di pesce catturati in varie zone degli Stati Uniti dal 2013 al 2015 nell’ambito di programmi di monitoraggio condotti da diversi enti degli USA. Fra questi l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA), il Great Lakes Human Health Fish Fillet Tissue Study e il National Rivers and Streams Assessment. Dall’analisi dei campioni è emerso che le concentrazioni medie di PFAS nei filetti di pesce catturati nei fiumi e nei torrenti era pari a 9.500 nanogrammi per chilogrammo (ng/kg), mentre nei pesci dei Grandi Laghi si arrivava a 11.800 ng/kg.

“I risultati di questi test sono incredibili. Mangiare un pesce equivale a bere acqua contaminata da PFAS per un mese”, ha affermato il dott. Scott Faber, dirigente di EWG.

Mangiare un pesce di acqua dolce equivale a bere per un mese acqua contaminata

La sostanza chimica maggiormente rilevata nei pesci d’acqua dolce esaminati è stata l’acido perfluoroottansulfonico (PFOS): le concentrazioni negli animali costituivano circa il 75{1b0c2467ee3a44ee7cb0ee5eca0a85608ec0219383d008c8e4b3b883dec68e5e} del totale. Sulla base delle analisi condotte dalla Food And Drug Administration (FDA), i livelli medi rilevati sono risultati oltre 280 volte superiori a quelli dei pesci venduti nelle pescherie e nei locali commerciali. “Il consumo frequente di pesce d’acqua dolce contaminato da PFOS – ha affermato il dott. David Andrews, autore principale dello studio – può causare aumenti significativi dei livelli sierici di questa sostanza chimica nelle persone, creando potenziali rischi per la salute. Ma anche il consumo meno frequente di pesce d’acqua dolce può aumentarli”. “Andavo a pescare ogni settimana e mangiavo quei pesci – ha aggiunto Andrews -, ma ora, quando vedo il pesce, tutto quello a cui penso è la contaminazione da PFAS”.

La necessità di nuovi test

Alla luce di questi risultati allarmanti, gli scienziati dell’EWG sottolineano l’importanza di effettuare ulteriori test su alimenti come il pesce, che rilevino la presenza di PFAS in elevate concentrazioni, poiché la dieta rimane una delle principali fonti di esposizione per l’uomo a queste sostanze nocive. “Identificare le fonti di esposizione al PFAS è una priorità urgente per la salute pubblica”, ha concluso Tasha Stoiber, co-autore dello studio.

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